Leucemia mieloide acuta: nuova guida per i centri di onco-ematologia

Un nuovo vademecum dedicato alla leucemia mieloide acuta, in grado di intervenire su velocità di intervento, strutturazione delle cure nei centri ematologici e multidisciplinarietà dei professionisti. È questa la novità realizzata da ISHEO, in collaborazione con FAVO Gruppo Neoplasie Ematologiche, per garantire ai pazienti un migliore percorso terapeutico a partire dalla diagnosi. Grazie alle nuove molecole approvate per la cura di questa patologia, infatti, la sopravvivenza dei pazienti è aumentata in modo importante. Ne abbiamo parlato con il prof. Giovanni Martinelli, Direttore Scientifico dell’Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio dei Tumori Dino Amadori – IRST: “Oggi, grazie ai progressi della medicina, siamo in grado di curare persone che fino a pochi anni fa avrebbero avuto pochissime speranze. Ora è fondamentale intervenire sulla presa in carico del malato.” 

Prof. Martinelli, oggi abbiamo a disposizione nuovi farmaci in grado di migliorare la prognosi dei pazienti affetti da Leucemia mieloide acuta. Quanto è importante la loro approvazione?
La leucemia mieloide acuta è una delle forme più gravi e complesse da curare. Abbiamo imparato che se c’è un pronto intervento, con una diagnosi rapida e una terapia efficace, possiamo trasformare una leucemia fulminante in una guarigione, anche nei pazienti più fragili come gli anziani. Prima, in 48-72 ore si potevano verificare emorragie in tutto il corpo, con infezioni gravi e shock settico. All’Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio dei Tumori Dino Amadori abbiamo condotto studi che hanno portato alla registrazione e alla rimborsabilità di 16 molecole per la cura di questa patologia. Quando una medicina viene resa disponibile per il Servizio Sanitario Nazionale diventa un bene collettivo, che deve essere distribuito e donato ai malati. È però importante che nella gestione del paziente ci sia una chiara identificazione della target therapy: oggi è su questo che ci dobbiamo concentrare, perché il modello “one fit for all”, una cura vale per tutti, non è più attuale. Di fronte alle lesioni genetiche, che colpiscono circa il 22% dei nostri malati alla diagnosi e il 45% alla ricaduta, dobbiamo agire con queste nuove molecole, fortemente impattanti sulla sopravvivenza e soprattutto sulla remissione completa. Significano indipendenza dalle trasfusioni, dal caregiver, dall’ospedalizzazione e dall’antibiotico terapia. 

I test genetici ematologici, in particolare per le alterazioni genetiche FLT3, possono migliorare le possibilità di cura?
I test sono fondamentali per l’adeguata presa in carico del paziente e, come per le molecole, è importante che siano disponibili in tutto il Paese, senza distinzioni. È necessario effettuare il test sia alla diagnosi che in caso di recidiva, perché la mutazione potrebbe apparire anche in quel momento. Oggi c’è un grande numero di malati sui quali non vengono svolti perché anziani, fragili o con comorbidità. Se si ricercasse questo target molecolare si potrebbe ottenere un’importante efficacia terapeutica. Abbiamo a disposizione farmaci che possono essere, in alcuni casi, salvavita. Dobbiamo garantirne la distribuzione su tutto il territorio nazionale in modo omogeneo e impegnarci perché si verifichi un’estensione delle cure a tutti i malati, sia FLT3 positivi che a chi è risultato negativo.
 

Oggi, con i nuovi medicinali a disposizione, la chemioterapia non è più la soluzione migliore per i pazienti affetti da questa patologia. Come è possibile intervenire per modificare i percorsi di cura?
Occorre una forte azione educativa sia a livello universitario che del Ministero della Salute, per insegnare a utilizzare bene i farmaci. C’è la tendenza ad avere un’eccessiva fiducia nella chemioterapia, ma sappiamo che la leucemia mieloide acuta è resistente. Le nuove molecole danno migliori prospettive di sopravvivenza e guarigione: in alcuni casi, una singola pastiglia può portare a una remissione completa dei sintomi, a una trasfusione indipendenza e a una guarigione funzionale. Quello di Hema Net è un progetto meraviglioso che ha sottolineato il grande valore della classe medica e dell’industria farmaceutica, in grado di dare risposte precise e piene di speranza, che va integrato a un utilizzo corretto, democratico e sociale, che tenga conto soprattutto degli anziani e delle persone fragili.
 

Quanto è importante che le società scientifiche facciano squadra con le associazioni pazienti per garantire la giusta expertise nella cura dei malati?

È importantissimo, perché parliamo di farmaci mirati, che però colpiscono dai 3 ai 5 target ciascuno a livello nano molecolare. Anche il malato con FLT3 potrebbe avere una lesione genetica sensibile a queste soluzioni. L’approvazione, in alcuni casi, causa un condizionamento e una riduzione del potenziale terapeutico, che andrebbe lasciato aperto a tutti i malati che hanno quel target molecolare ma non l’indicazione del medicinale specifico. L’estendibilità dell’accesso potrebbe essere garantita, per esempio, tramite il Molecular Tumor Board. Dovremmo garantire, con uno sforzo legislativo, una maggiore possibilità di registrazione dei farmaci già disponibili, per nuove indicazioni.

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